Anche gli Italiani sentono la crisi
La crisi di questi mesi ha fatto emergere di recente un nuovo consistente rischio, quello legato alla disonestà di molti intermediari, anche prestigiosi. Come altrimenti giudicare l’esplodere di truffe multimiliardarie scoperte negli ultimi due mesi, da quella orchestrata dall’ex presidente del Nasdaq, Bernard Madoff, alle “distrazioni” del banchiere d’affari texano Allen Stanford, sino ad arrivare ai trader Paul Greenwood e Stephen Walsh che raccoglievano denaro dicendo di investirlo in strategie di arbitraggio sugli indici e poi compravano case da due milioni dollari per le ex mogli e libri rari per sè?
Il mito di Wall Street, insomma, è andato in frantumi anche se sarebbe bastato non avere la memoria troppo corta, o rivedersi un film come Wall Street di Oliver Stone, per ricordarsi come già nei “mitici” anni Ottanta i Gordon Gekko della situazione non si comportassero con molti più scupoli, salvo magari lavarsi ex post la coscienza come ha fatto Michael Milken, primo “re” e padre putativo dei junk bond di nefanda (ma evidentemente non abbastanza duratura) memoria.
Il danno reputazionale è enorme al di là dell’Atlantico ma il suo costo lo pagano anche aziende e privati nel vecchio continente sotto forma di congelamento del mercato del credito, con banche che si guardano l’un l’altra senza avere la voglia e forse la capacità di valutare fino in fondo il merito di credito delle proprie controparti (ed avendo ormai tutti gli operatori crescenti dubbi sull’utilità delle valutazioni, sempre ex post, effettuate dalle principali agenzie di rating mondiali).
Tuttavia il pubblico dei risparmiatori sembra stentare ancora (fino a quando?) ad accorgersene. In giorni ho provato a utilizzare a chiedere, utilizzando Facebook e la mia rete di contatti su quel social media, cosa la crisi abbia finora comportato a livello personale. Ebbene, che la crisi sia percepita al di là dei distinguo e dei dati macroeconomici è evidente. Che abbia ingenerato e allo stesso tempo si nutri di un crescente sentimento di sfiducia e di avversione al rischio appare altrettanto chiaro, avendo registrato risposte che variano dal “ho dovuto abituarmi a una più attenta gestione del budget di famiglia e fare qualche rinuncia per far fronte a possibili imprevisti futuri” a “provo una serie di difficoltà quotidiane maggiori e un senso di presa per il culo quando sento dire non c’è crisi”.
Non c’è tuttavia ancora, in forma marcata per lo meno, sfiducia nel sistema, negli intermediari: i più previdenti hanno semmai spostato ai primi segnali di incertezza i propri investimenti dai fondi comuni e titoli azionari sui classici beni rifugio, mattone in testa (quasi sempre per acquistare immobili residenziali direttamente utilizzati) e sottolineano ora come il problema principale sia stata la “crescita forsennata dei prezzi e delle tariffe negli ultimi 9 anni, che ha eroso in modo sostanziale il mio potere di acquisto”. E che dunque favorirà un innalzamento del tasso di risparmio.
La crisi in atto sembra dunque un qualcosa partito da lontano di cui si scontano ora le conseguenze. Diffusa è infine la percezione che siano stati posti in atto comportamenti opportunistici per approfittare della situazione di confusione che si è venuta a creare. Ma al momento, almeno in Italia, non si notano, forse per la mancanza di casi eclatanti come avvenne invece alcuni anni fa con i crack Cirio e Parmalat, una forte indignazione, come invece si registra in America, per l’operato di manager e gestori.
Per far ripartire il credito, dando sostegno all’economia reale, e ridare fiducia agli investitori privati e istituzionali di tutto il mondo, Italia compresa, la via obbligata sembra tuttavia quella di un profondo ripensamento delle regole morali e contabili, nonché dei meccanismi di implementazione e verifica delle stesse. In assenza di un recupero della fiducia né le nazionalizzazioni, né le bad bank, né piani di sostegno alle economie dei singoli paesi , siano essi di pochi o di decine o centinaia di miliardi di euro (o di dollari), potranno far scrivere la parola fine a una crisi troppo a lungo sottovalutate dai policy maker e dalle autorità monetarie di tutto il mondo. Che fino allo scorso anno, si ricorderà, parlavano di semplice “turbolenza dei mercati” non sapendo di essere prossimi ad affrontare una tempesta perfetta a lungo covata dai mercati.