Analisti vil razza dannata
Che significatività possono avere nella gestione quotidiana di un’azienda previsioni vaghe e sistematicamente inattendibili? Nessuna. Eppure come questa crisi ci ha nuovamente ricordato, nel magico mondo della grande finanza mondiale i previsori sistematicamente inaffidabili ancora trovano ampi spazi, siano essi impiegati presso gli uffici studi di singole banche o di importanti istituzioni monetaria, siano essi i responsabili dell’attribuzione di credit rating.
Non si tratta di una provocazione: lo stesso Ignazio Visco, vice direttore generale di Banca d’Italia, ha dichiarato pochi giorni fa che “ci si deve chiedere quanto grave sia stato il fallimento dell’analisi economica, e con questa dei modelli di previsione, ma anche perché sia stata così lenta e poco tempestiva la risposta della politica economica, nelle sue diverse dimensioni, ai segnali di allarme che venivano avanzati dall’analisi e dalle previsioni degli economisti”. Concludendo che “analisi e modelli previsivi hanno mostrato limiti importanti su cui è necessario interrogarsi”.
A conclusioni non dissimili è giunta l’Aiaf (Associazione italiana analisti finanziari), che in un position paper ha sottolineato l’esigenza di trarre insegnamento dalla crisi per implementare alcune riforme. Anzitutto la necessità “di un rinnovato sistema di regole e di maggiore trasparenza nel sistema finanziario” senza le quali auspicare il ritorno alla normalità dei mercati appare utopistico. Riforme che sono riassumibili nella riduzione delle le autorità di controllo, nella revisione di alcuni degli indicatori di Basilea2, rivelatisi eccessivamente pro-ciclici, nell’implementazione di modelli di governance realmente efficienti ed efficaci, ma anche nella promozione di un serio sforzo per accrescere il livello e la qualità dell’educazione finanziaria, senza la quale a operatori disonesti o semplicemente poco accorti sarà sempre troppo facile trovare ascolto presso un pubblico di risparmiatori disorientati e scarsamente in grado di valutare la bontà delle analisi fornite.
Ciò detto l’impatto delle singole valutazioni su titoli, settori e mercati è e purtroppo al momento resta più un problema di marketing che di qualità effettiva. Tolti pochi nomi eccellenti, di solito peraltro in forza ai principali operatori finanziari mondiali, la forza d’impatto dei singoli report nell’operatività quotidiana è, oltre che limitata e poco persistente, fortemente dipendente dal “marchio” del report stesso. Analisi proposte da intermediari di grandi dimensioni, in grado di operare un’azione commerciale importante anche per quanto riguarda la sollecitazione dell’attività di intermediazione, sono di solito in grado di produrre nell’arco di alcune sedute variazioni anche significative delle quotazioni. Fenomeno peraltro che sul lungo periodo tende a lasciare poche volte tracce consistenti di sé a ulteriore conferma della volatilità dell’impatto di analisti e commentatori sulla percezione di valore che il mercato sempre esprime.
Quanto alle agenzie di rating, secondo quel che confermano molti colleghi oltre che una recente ricerca dell’Università Bocconi, se nel momento della prima attribuzione di un giudizio di merito di credito a un emittente il mercato è solitamente attento e tende ad adeguare la propria percezione di rischio (e dunque le quotazioni dell’emittente stesso) al giudizio espresso dagli esperti delle agenzie di rating, le successive variazioni hanno in genere un impatto modesto, tanto più che spesso sono precedute e non seguite da variazioni delle quotazioni. Le agenzie di rating, insomma, sembrano andare un poco a rimorchio più che trainare i giudizi dei mercati, un comportamento dovuto probabilmente agli inevitabili conflitti d’interesse che si creano ogni qual volta l’attribuzione di un rating non sia spontanea e “unsolicited” ma frutto di una richiesta proveniente (e contrattualmente retribuita) dall’emittente medesimo.
L’impatto e la credibilità di analisti e autorità monetarie mondiali è dunque andato calando nel corso degli anni a causa dei limiti e dell’opacità dei meccanismi di determinazione dei giudizi da questi espressi. Unica soluzione per tornare ad avere un impatto importante (e un significativo incremento delle informazioni fornite ai mercati dagli analisti) pare essere quella di una seria promozione dell’attività di analisi su base indipendente. All’orizzonte, purtroppo, non si scorge per ora ancora nessuna riforma in tal senso, per la gioia degli attuali oligopolisti, siano esse banche o agenzie di rating, che dell’analisi fanno ormai un servizio accessorio col quale promuovere lo sviluppo del proprio giro d’affari.