Panzane estive
Panzane estive?
Devo confessare che l’ho pensato quando l’altro giorno ho letto un articolo sul Corrierone nazionale a firma dei professori Giavazzi e Alesina e se non fosse stata per cotanta firma il dubbio avrebbe lasciato spazio alla certezza.
La tesi dell’articolo era che l’Italia ce la può fare da sola a ridurre il debito entro limiti reputati fisiologici e che la strada non poteva che essere quella di una drastica riduzione della spesa pubblica.
Fin qui opinioni lecite e, se ben comprese nelle loro conseguenze sociali e politiche, anche condivisibili.
Il dubbio è sorto quando i due acclarati esponenti del mondo accademico italiano ed estero si sono lanciati in una tesi subordinata alla prima ed enunciata al solo scopo di rendere la ricetta proposta più “digeribile” alle cosiddette parti sociali.
Questa subordinata, se ben compresa, sostiene che contrariamente alla teoria classica keynesiana una riduzione della spesa pubblica non è necessariamente recessiva. Nella misura in cui essa, infatti, si accompagna ad una pari o più che proporzionale riduzione del prelievo fiscale, tale manovra, si conclude, libera risorse nel settore privato che possono utilmente generare domanda alternativa alla precedente.
A questa tesi temo si debbano opporre almeno due controindicazioni. La prima sta nel fattore tempo: si riduce oggi la spesa pubblica e questa stessa verrà sostituita domani da domanda privata. Tra l’oggi e il domani in economia possono passare mesi se non anni.
La seconda sta nei costi del mercato del lavoro e in generale nel livello dei salari occidentali. Le risorse liberate a favore del settore privato per la componente diretta a favore del mondo imprenditoriale difficilmente oggi verranno reinvestite in Italia, ma molto più probabilmente in paesi nei quali il costo del lavoro (e le legislazioni sociali e ambientali vigenti) rendono tale investimento più profittevole. Questa via certo produrrà anche “domani” una quota mancante nella domanda interna.
E allora? Mi sfugge qualcosa, o l’argomentazione dei professori Giavazzi e Alesina vuol solo indorare una pillola non indorabile per natura? La riduzione del nostro tenore di vita è il tema attraverso cui passa il requilibrio dei costi pubblici. Che essa avvenga per il tramite di manovre di politica economica come quella proposta o per il tramite di un livello inflattivo tale da abbassare il potere di acquisto generale di quanto necessario (ma a questa ipotesi i tedeschi sono assolutamente contrari per ricordi imperituri di Weimar e di un marco compravenduto a pacchi) è la sola opzione in nostro possesso, a meno che l’Europa non abbia un colpo di reni, diventi finalmente un soggetto politico tale da poter imporre e beneficiare delle proprie politiche economiche e sociali unitarie e per questa futuribile strada giunga ad un graduale ed indolore bilanciamento dei vari capitoli di spesa.
Per uscire dal politichese o dal gergo economico accademico: se una Europa esistesse, quanti soldi potrebbe risparmiare armonizzando le sedi diplomatiche all’estero o trattando come un unico acquirente le proprie forniture strategiche di gas e energia? Cito questi due capitoli perché è di tutta evidenza come essi siano soldi europei che foraggiano il benessere altrui e non producano domanda interna, ma tutt’al più la deprimano.
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