Le lezioni della crisi (seconda parte)
Riprendiamo il discorso da dove l’abbiamo interrotto, ossia dalla reazione dei governi mondiali all’esplodere della crisi economico-finanziaria. Vi è una qualche novità in questa reazione? Vi è la volontà di cambiare il modello economico di riferimento, ad esempio riducendo l’importanza dei consumi nella catena della creazione del valore? Non mi pare. Vi è forse la volontà, politica ed economica, di andare verso quella “decrescita felice” (non si sa bene per chi) che alcuni teorizzano, almeno in Europa? Non mi pare. Hanno forse i mercati cambiato le proprie metriche di valutazione, premiando aziende eco-solidali, socialmente responsabili, innovative, e non solamente margini di profitto e capacità di mantenere o conquistare nuove quote di mercato? Non mi pare. Come non mi pare che, nonostante i trend secolari sicuramente in corso a favore del passaggio di testimone tra il dollaro e una nuova valuta mondiale, tra gli Stati Uniti e la Cina come “locomotrice economica mondiale”, qualcosa sia destinato a cambiare nei prossimi anni per quanto riguarda le regole fondamentali dell’economia e della finanza.
Che vale forse la pena di ricordare: ossia che in un sistema in cui le risorse sono scarse non è possibile sostenere attività che brucino più risorse di quante ne producano (ossia in cui le uscite siano costantemente superiori alle entrate, portando a continue perdite e non ad utili); che se è vero che l’utilizzo accorto della leva finanziaria consente di incrementare gli utili (a patto che il rendimento delle attività in cui si investe il denaro preso a prestito sia superiore al costo del denaro stesso), un suo utilizzo eccessivo mina drasticamente la stabilità patrimoniale di un’impresa; che non esistono pasti gratis e alla fine il conto si paga sempre, sia che si sia un singolo individuo, un’impresa o un’intera nazione.
A meno che il creditore non sia abituato a ragionare su un’ottica temporale di lungo periodo e il debitore non riesca a vedere al di là del suo naso. Il che è esattamente quanto si sta verificando in questi mesi, con debitori che si indebitano ulteriormente per cercare di riprendere la corsa bruscamente interrotta e debitori che pazientemente, pur mandando precisi segnali e chiedendo contropartite politiche crescenti, stanno al gioco continuando a rinnovare il credito concesso.
Per cambiare servirebbe, parafrasando l’ex ministro e banchiere centrale Tommaso Padoa Schioppa, una “visione lunga” che in Occidente per ora quasi nessuno dimostra di avere. Stando così le cose come comportarsi per cercare di tutelare al meglio i propri investimenti? Anzitutto imparando ad operare con maggiore disciplina, poi cercando di valutare più attentamente il grado di rischio tollerabile in base alla propria situazione economica e patrimoniale, quindi imparando a comparare strumenti e intermediari finanziari.
Per far ciò si dovrebbe investire nella propria cultura e ricordarsi che delegare è bene fino a un certo punto quando si tratta dei nostri soldi e che è sempre meglio avere ragionevoli dubbi che infondate certezze. Magari a costo di fare come un mio ex cliente che nell’illustrarmi le sue necessità già molti anni fa mi disse: “Sono un piccolo imprenditore, vorrei far fruttare al meglio i miei capitali, ma non mi proponga investimenti con rendimenti a due cifre percentuali, vorrebbe dire che mi fate correre troppi rischi per ottenere simili performance. Ed io i rischi li corro già ogni giorno per riuscire a far crescere la mia attività”.