Marchionne ambizioso? Mica tanto
Sergio Marchionne lo ribadisce ogni volta che ne ha l’occasione: “L’impegno della Fiat in Italia è chiaro, non abbiamo cambiato idea. Stiamo cercando di fare del nostro meglio” ma molti, maliziosamente, commentano: portare dalle attuali 650 mila vetture a 1,4 milioni di auto (più altri 250 mila veicoli commerciali) la produzione italiana entro il 2014 non è possibile, il piano è volutamente troppo ambizioso per poAll Postster avere la scusa di lasciare l’Italia.
Certo fa un certo effetto sentir giudicare “troppo ambizioso” voler produrre 1,65 milioni tra auto e veicoli commerciali il numero uno di un gruppo che ancora nel 2003 (con Giuseppe Morchio, il predecessore di Marchionne estromesso per aver tentato di “appropriarsi” dell’azienda, un’accusa che ha spesso accompagnato l’allontanamento di alcuni dirigenti di punta di Fiat in passato) dichiarava di voler produrre, entro il 2006, 2,25 miloni di veicoli.
Obiettivo che fu lo stesso Marchionne a giudicare ambizioso, nonostante solo nel 2001, l’anno dell’attacco suicida alle Torri Gemelle e dell’avvio dell’euro, Fiat avesse venduto (non prodotto… venduto) 2,282 milioni di veicoli. Si dirà: ma Fiat non produceva più, già all’epoca, tutto in Italia e in ogni caso è proprio a causa della perdita di competitività del paese che Fiat, come altre industrie, ha finito col delocalizzare la produzione preferendo investire in Polonia, Turchia, Serbia o Brasile (ed ora puntando su Chrysler negli Usa) prima che in patria.
Posta così la questione è come dover dire se sia nato prima l’uovo o la gallina: la produzione italiana è in calo perchè in Italia costa troppo produrre o in Italia costa troppo produrre perchè con volumi in calo i costi fissi e gli ammortamenti sono proporzionalmente sempre più elevati?
Il sospetto è che il problema sia a monte: Fiat sotto Morchio produceva utilizzando il 70% della sua capacità produttiva, meno dei concorrenti, disponeva di risorse finanziarie limitate per lo sviluppo di nuovi modelli, disperdeva le sue forze su troppi marchi e troppe varianti di autovetture, al punto che una delle prime mosse di Marchionne fu di ritirarsi da alcuni segmenti (purtroppo dai segmenti di alto di gamma che pure sarebbero più redditizi ma che richiedono investimenti in ricerca e sviluppo più elevati).
Tutte situazioni che la Fiat del 2011 non sembra aver significativamente migliorato (anche se il lavoro di Marchionne e del suo team, soprattutto fino a un paio d’anni fa, è stato costante nel tentativo di ridisegnare la rete di vendita, rivedere i rapporti coi fornitori, migliorare la qualità del prodotto e ridurre il punto di pareggio).
Tanto che ancora oggi l’accusa che si muove a Marchionne è quella di non aver saputo tenere il passo (lui dice di averlo fatto apposta, i critici dicono che non poteva fare diversamente per le minori risorse disponibili) con la concorrenza in termini di sviluppo di nuovi modelli e brevetti industriali.
E di aver sfruttato Chrysler per mettere le mani su una piattaforma distributiva facendo pagare ai contribuenti americani (che non rivedranno 1,3 miliardi di dollari degli aiuti erogati complessivamente) il costo di tenere in vita un produttore altrimenti bollito e tecnologicamente obsoleto.
Di più: di fatto i soldi che Marchionne ha appena restituito al governo Usa e del Canada provengono da un ulteriore prestito fornito all’azienda dal governo americano attraverso i suoi programmi di aiuti alle imprese in crisi. Un poco un gioco delle tre carte in cui spostando rapidamente capitali e flussi di cassa Marchionne ogni volta ottiene 10 e rimborsa 9, finendo col farsi pagare per raggiungere il suo obiettivo (lo avevano già scoperto a suo tempo i manager di General Motors).
Ma c’è un ma: oggi Ford nel rivedere le previsioni sui livelli produttivi di metà decennio ha annnciato di volerli increementare del 50% dai livelli attuali, per arrivare a 8 milioni di vetture prodotte. Marchionne conta per tale data di produrre in tuto 4 milioni di vetture Fiat/Chrysler di cui appunto 1,65 milioni in Italia e il resto all’estero (un anno fa parlava di 6 milioni di veicoli per tutto il gruppo).
Il guaio, per Marchionne, è che Ford ha precisato di voler puntare soprattutto sui veicoli di piccola cilindrata, entrando dunque più direttamente in concorrenza con Fiat, e di volersi rafforzare sui mercati emergenti (e qui la concorrenza è parziale solo a causa del ritardo di Fiat nello sviluppo di una forte presenza in Cina).
Insomma, la sensazione è che a furia di giudicare troppo ambiziosi gli obiettivi il gruppo, che nel frattempo ha sfruttato fino in fondo gli incentivi da qualsiasi parte giungessero, distribuendo ricchezza ai propri azionisti (e dunque sottraendone all’azienda medesima), si sia cucito addosso il ruolo di prossima “preda” nel risiko mondiale del settore. Sempre che a qualcuno interessi prendersi una simile gatta da pelare, perchè nella migliore delle ipotesi il piano di Marchionne avrà bisogno di un altro paio d’anni per produrre i suoi frutti e nel frattempo chissà a che livello staranno i concorrenti europei, americani, giapponesi e di paesi emergenti come Cina e India.