Un portafoglio post-referendum

13 Giugno 2011 di Luca Spoldi
Robin Hood
Categoria: Finanza / Sherweb | Commenta

Vi propongo un pezzo commissionatomi da un cliente venerdì scorso e poi non pubblicato. In cui senza particolari sfere di cristallo spiegavo cosa poteva succedere. Per la cronaca oggi (lunedì, dopo che i referendum hanno superato il quorum ampiamente con una percentuale di “sì” vicina al 95% per tutti i quesiti, sull’acqua, sul nucleare e sul legittimo impedimento), scattano al rialzo i titoli delle “rinnovabili”, scende Enel, perdono terreno i titoli del gruppo Berlusconi. Senza particolari drammi e con gli occhi rivolti più alla crisi del debito greco e ai prossimi dati macro in arrivo in settimana… ma tant’è.

Referendum sotto i riflettori anche di Piazza Affari oltre che dei palazzi della politica, perché a seconda che vincano i “sì” all’abrogazione delle norme sottoposte ai quattro quesiti referendari (due sull’acqua, uno sul nucleare, uno sul legittimo impedimento) oppure i “no” o l’astensione (e quindi rimangano in vigore così come sono ora le norme “incriminate”) per alcuni dei protagonisti del listino di Milano, e forse non solo, le conseguenze potrebbero essere consistenti sia in termini di futuri business sia di andamento delle quotazioni. Vi proponiamo dunque una mappa delle scommesse più interessanti o dei rischi più insidiosi che potrebbero attendere gli investitori italiani, a partire da lunedì mattina.

Partiamo dal tema del nucleare: se vincerà il “sì” l’Italia bloccherebbe il progettato rientro nel settore che prometteva, stando al governo, un piano da 20 miliardi di euro di investimenti per riuscire ad avviare le 4 centrali prevede l’accordo Enel-Edf (per le quali si parla di entrata in funzione del primo impianto dal 2020), ovvero di 40 miliardi se si volessero realizzare le 8 centrali necessarie a produrre il 25% dell’energia che si pensa possa essere necessaria all’Italia entro i prossimi dieci anni.

Per Enel però il danno sarebbe limitato, sia perché il gruppo guidato da Fulvio Conti dispone già di centrali nucleari, sebbene all’estero, sia perché la controllata Enel Green Power, che in questi giorni ha siglato nuovi accordi in Italia e all’estero per acquisire impianti a biomassa o eolici, godrebbe di ricadute positive dall’eventuale accelerazione degli investimenti in energie “verdi” al pari della più piccola Falck Renewable e della Cir di Carlo De Benedetti, che controlla L’Espresso-Repubblica ( in questi giorni schierato apertamente a favore dei “sì” ai referendum) ma anche Sorgenia, impegnata nel gas e nelle energie rinnovabili ma del tutto assente dall’atomo.

Saldo positivo in caso di “sì” al referendum, seppure “di rimbalzo”, anche in casa Prysmian (l’ex Pirelli Cavi, che tra l’altro fornisce cavi energia alle principali aziende del settore elettrico mondiale), che anzi già ora è tornata a recuperare terreno in borsa sulle attese di commesse dalla Germania legate ai forti investimenti nel settore eolico che il governo tedesco varerà per riuscire a produrre almeno 25 Gb di energia dopo la rinuncia al nucleare.

Insieme a Prysmian “tifa” per l’eolico anche la tedesca Veolia, mentre il solare (che vede Enel Green Power impegnata nello sviluppo di una delle tecnologie più promettenti, quella del solare termodinamico), fortemente influenzato dai tagli agli incentivi decisi di recente dal governo italiano, vede tra i gruppi più attenti l’americana First Solar, oltre all’italiana Kerself, finita in crisi e impegnata in queste settimane in una ricapitalizzazione che potrebbe portare i soci russi di Avelar Energy (società del gruppo Renova, appartenente al miliardario Viktor Vekselberg) a rilevare il controllo finora in mano al fondatore Angelo Maselli.

Più insidioso il doppio quesito sulla messa a gara dei servizi e sulla remunerazione dei capitali investiti nel settore idrico. Da un lato vi è chi ricorda (come ha fatto di recente l’agenzia Fitch) che senza certezza di remunerazione del proprio capitale gli operatori privati difficilmente accetterebbero di investire nel settore, mentre quelli pubblici, alle prese con la necessità di ridurre le spese, non sembrano avere la possibilità per far fronte ai futuri impegni finanziari legati al rinnovo delle reti e alla gestione del servizio.

Per chi come Acea o Acquedotto Pugliese si è affidato a Fitch per avere un “merito di credito” necessario a poter fare ricorso al debito tramite emissioni obbligazionarie il rischio è quello, nel caso di vittoria dei “sì”, di vedersi peggiorato il rating stesso a causa delle più elevate incertezze del business e dover così pagare più interessi di prima. Per contro  un “no” rischierebbe di penalizzare le gestioni pubbliche efficienti e di dare spazio libero a gruppi privati che da tempo sembrano aver messo nel mirino il settore (come nel caso del gruppo Caltagirone, interessato a crescere nel capitale della romana Acea) senza fornire sufficienti garanzie di efficiente gestione e di tutela dell’interesse pubblico (che andrebbe peraltro monitorato e garantito dalle authority di settore prima o non soltanto che dagli investitori privati).

Il timore è insomma di finire col trasferire, magari a basso prezzo e ai “soliti amici” a causa della carente cultura della concorrenza che tuttora caratterizza lo scenario economico e politico italiano, infrastrutture in grado di garantire rendite finanziarie molto consistenti a fronte di investimenti esigui o fortemente dilazionati nel tempo, facendo sorgere continui contenziosi, accusa che da tempo alcuni vanno ripetendo guardando agli esiti delle privatizzazioni di Autostrade e Telecom Italia.

Quarto e ultimo quesito, quello sul “legittimo impedimento” per il premier e i suoi ministri a comparire in processi a loro carico durante il loro mandato. Qui non vi sarebbero riflessi economici di sorta, se non fosse che il premier in questione si chiama Silvio Berlusconi, che a Piazza Affari è presente con le proprie aziende. Per Mediaset e Mondadori, già in attesa di conoscere, secondo alcuni già intorno alla metà del mese, il verdetto d’appello del Tribunale di Milano in merito al risarcimento che Fininvest dovrà, eventualmente, versare a Cir per il “lodo Mondadori”, una vittoria dei “sì” potrebbe voler dire quanto meno alcune sedute difficili, mentre un fallimento del quorum (o una vittoria dei “no”) significherebbe un rimbalzo quasi certo lunedì mattina. Anche se poi, verosimilmente, gli investitori tornerebbe a guardare ai fondamentali e quindi a cercare di capire come potranno variare fatturato e utili nei prossimi trimestri.

Ancora una piccola precisazione: nella giornata odierna a esito ormai ufficiosamente noto Biancamano ci ha tenuto a precisare: “che l’eventuale esito positivo del quesito “Modalità di affidamento e gestione dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica. Abrogazione”, no

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