Aruspicina e agenzie di rating

8 Giugno 2012 di Alfonso Scarano
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L’aruspicina era un’arte divinatoria di origine etrusca che consisteva nell’esaminare le viscere, ed in particolare il fegato e l’intestino, delle vittime sacrificali, estrapolandone dei segni, fausti o funesti. L’aruspice era colui che esercitava l’aruspicina.

Wikipedia riporta che “gli aruspici furono consultati per tutta la durata dell’impero romano e si tramanda che ancora nel 408, durante l’assedio di Roma, aruspici pronunciarono maledizioni in lingua etrusca per lanciare fulmini sui visigoti di Alarico I”. Sappiamo che, nonostante gli aruspici, Alarico nel 410 saccheggiò Roma per tre giorni.

E’ azzardato accostare l’antica arte aruspicina alla moderna scienza della valutazione del merito creditizio a cui si rifanno le agenzie di rating? Probabilmente sì.

Eppure vi è un punto su cui riflettere. La scientificità dei metodi. Parrebbe evidente che non vi è nulla di scientifico nell’aruspicina. E nel rating?

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Certamente i metodi di analisi del rating hanno a che fare con matematica, statistica e numeri che, come Galileo ci insegna, è il linguaggio della scienza ed in cui la natura può venire descritta.

“La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.” (Galileo Galilei 1564-1642)

Certamente bene per la scienza naturale quale la fisica. Ma per quella sociale, quale è l’economia vale l’intendere la lingua matematica per leggerne il libro? L’enorme impulso alle modellistiche matematiche in economia e finanza hanno “…. conferito gradualmente maggiore importanza alla capacità predittiva di una teoria piuttosto che al realismo delle ipotesi iniziali. Coerentemente, Milton Friedman ha affermato che nessuna evidenza empirica può fornire la prova della validità di un’ipotesi, ma l’insieme degli assunti iniziali dell’economica positiva, in sé arbitrario, può essere giudicato valido solo se consente di dedurne previsioni confermate dall’esperienza. Non importa, ad esempio, che gli assunti della concorrenza perfetta o del monopolio puro appaiano irrealistici, o che gli uomini d’affari non usino, in realtà, prendere le loro decisioni sulla base delle curve del costo o del ricavo marginali; quello che conta è che da assunti anche apparentemente irrealistici si possano dedurre previsioni corrette.” da: Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Economia_politica

Ed allora? Quali capacità previsive hanno i rating? Come potere analizzare la qualità del rating? .. Bella domanda, a cui numerosi ricercatori si sono dedicati analizzando ex-post i rating rispetto mercati e parametri fondamentali. Ebbene, le analisi fatte sul debito sovrano dei paesi in via di sviluppo e che poi sono falliti o hanno avuto dei grandi travagli economici hanno rilevato che i rating hanno avuto una relazione statistica pro ciclica con gli avvenimenti, con un sistematico ritardo nell’aggiornamento dei rating, che poi si è incanalato nel progredire del pessimismo della percezione del rischio paese, diventando fattore pro-ciclico.

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Per i paesi sviluppati, non è possibile analisi perché la tabella storica dei default è, notoriamente, nulla. E sarebbe come andare a cercare il momento di scatenamento di un terremoto in una località che è mai stata sismica.

Per i rating sulle imprese, le cose vanno un po’ meglio, ma questo non ha impedito alle agenzie figuracce come Paralat, Worldcom ed Enron, valutate da tutte le agenzie a basso rischio, anche poco prima del loro fallimento. Occorre a questo proposito ricordare che le agenzie hanno ampia discrezionalità nel chiedere alle imprese ulteriori informazioni alle imprese se quelle pubbliche e quelle di routine prese in esame non fossero sufficienti o lasciassero qualche dubbio. Anzi, pare che proprio il contratto che le agenzie stipulano con il loro cliente, che è la società sotto esame (da cui il potenziale conflitto di interesse), dia al cliente la possibilità di ricorrere ad una revisione del rating se questo non fosse di livello gradito, apportando ulteriori dati ed informazioni. Ciò accade all’insaputa del mercato, che conosce solamente il comunicato finale dell’annuncio del rating. Bene inteso, il rating può anche essere tenuto segreto o riservato, a discrezione del cliente (che è quello che paga).

Per i rating sui derivati finanziari come i CDO, le agenzie hanno fatto un disastro. Tutti hanno visto il disastro dei rating e le differenze di probabilità di default tra rating su aziende e rating su questi prodotti finanziari pur definiti con medesime dizioni a letterine AA, A, BBB etc…  Occorre dire che è stata sciagurata la decisione di aver usato le stesse simbologie di rating per categorie così diverse di sottostante. Un malizioso potrebbe controbattere: sciagurato o genialmente assai proficuo? Valuteranno, con i loro bradipi tempi (non coerenti con i tempi della finanza e con i dati che questa può nel frattempo indurre) i giudici americani solleticati dalla scossa elettrica che il declassamento del debito USA ha provocato negli States. Ma occorre anche ricordare che oltre ai servizi di valutazione del rating, le agenzie servivano su un piatto ben imbandito (ma assai costoso) anche servizi di consulenza per il confezionamento dei derivati, software statistici specialistici per il loro calcolo e database di dati essenziali per la loro stima. Un servizio a 360°. Barba e capelli e massaggio finale, insomma.

Ed ecco che riemerge il tormentone. E’ il rating un qualche cosa che possa essere definito scientifico? La lingua matematico statistica c’è, i dati pure, pare. Cosa manca?

Ebbene, manca la cosa più importante per un approccio scientifico: manca la “replicabilità” della valutazione! Ogni esperimento perché sua degnamente scientifico deve essere descritto in maniera tale che altri ricercatori lo possano replicare.

Al contrario, le agenzie affermano che si tratta di loro know-how e dunque un loro patrimonio, il loro più grande valore intangibile oltre alla loro reputazione e potere sul mercato. Le agenzie sostengono che il loro è un lavoro assai complesso (e riservato, occorrerebbe aggiungere), che coinvolge grandi risorse (e grosse parcelle, occorrerebbe aggiungere), che coordina numerose serie storiche e che comprendere numerosissimi aspetti e, affermano, che seguono procedure e modelli precisi.

Tutto chiaro, sembrerebbe a sentir loro, e per gli scettici basta che vadano a studiare la documentazione che le agenzie mettono a disposizione al mondo finanziario. Sarà! Ma pur cercando e ricercando nella documentazione, le procedure non sono analiticamente descritte passo dopo passo, pesatura dopo pesatura, votazione dopo votazione del comitato rating. Dunque non si possono comprendere le caratteristiche supposto-scientifiche del rating “made in agenzia” e soprattutto le “pesature” e le proporzioni delle “votazioni” del comitato rating. Ergo, non c’è documentazione per cui si possa “replicare” l’esperimento di analisi.

E se invece, tutta la modellistica e procedura del rating fosse basata essenzialmente sulla votazione finale del comitato rating e sulla soggettività della sensibilità dei partecipanti, quale scientificità ci sarebbe?

Se, ad esempio, undici professionisti del rating coinvolte in un giudizio (un numero di partecipanti al comitato rating sempre dispari perché mai possa andare in patta), per quanto autorevoli, preparati e sensibili votano per un declassamento, una riconferma o un innalzamento del rating, con la regola che votino prima i più giovani analisti perché non siano influenzati dagli anziani, questo è sufficiente?

Concludendo, non si conoscono le procedure di analisi delle agenzie che portano ad una presentazione di un documento nel comitato rating, e in quella occasione un numero tot di partecipanti vota e decide se uno Stato, una società, una banca o un gruppo di banche, un prodotto finanziario o categorie di prodotti finanziari debba essere declassato o meno. E tale potere – immenso – viene lasciato nelle mani di tre oligopolisti del rating che hanno a bilancio margini operativi del 50%. Mestiere dunque ben profittevole questo oligopolio oscuro ma costoso, ed a tutti fino ad ora pare un sistema corretto di far reggere l’economia e la finanza mondiale?

Pare invece che stia maturando consapevolezza che l’oligopolio del rating sia un sistema che deve cambiare. E deve cambiare in particolare migliorando soprattutto l’affidabilità previsiva delle analisi con il metodo della trasparenza scientifica, e della replicabilità delle analisi e del confronto.

La forza del blasone del solo marchio, che una volta contava tutto è ormai nella polvere.

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